TECNICHE E METODI DI RECITAZIONE

Prima di informarvi su TECNICHE E METODI DI RECITAZIONE, avete letto l’articolo su IL METODO RECITATIVO? In quell’articolo parlo sul perché non esiste un solo metodo di recitazione e di come un metodo applicato alla cieca non è utile al suo scopo.

Trattando di emozioni e relazioni, l’attore è ben consapevole che dovrà prepararsi in diverse tecniche e metodi di recitazione per riuscire ad avere il Mestiere:

  • dovrà di certo investire in una propria crescita personale tramite le strade che ritiene più adatte (psicoanalisi, soggiorni in monasteri, percorsi di laurea, esperienze di vita o collezionare buoni amici sono tra questi);
  • dovrà abbracciare la multidisciplinarietà e abbandonare l’illusione della separazione che vede divisi scrivere e recitare, combattere e cucinare, ascoltare e parlare. Attaccarsi ciecamente a questa o quella disciplina non ha senso[1], ma trarre una saggezza scenica da quello che si ha piacere di fare, su cui si vuole investire e per cui ci si sente predisposto;
  • provare è ancora l’unico modo per capire se funziona. Se poi l’azzeccate dal primo colpo due sono le possibili spiegazioni: avete un gran talento o una gran fortuna. Di persone con talento innato ne esistono assai poche.

Il consiglio spassionato è di sviluppare le proprie tecniche, adattandole a sé stessi e sviluppando sfumature diverse da quelle usate da altri colleghi.

Ora veniamo a chi ci ha lasciato le tecniche e i metodi di recitazione che tutti conosciamo.

Il Labirinto, Controluce Teatro D’ombre 2018

Konstantin Stanislavskij

A Konstantin dedicherò un poco più di spazio che ad altri.

Il Maestro non è mai stato capito fino in fondo, o per lo meno è impossibile interpretarlo in modo univoco. Non risolverò di certo io tutti i dubbi che ruotano attorno al pedagogo più importante della storia, ma è mia intenzione puntualizzare che nemmanco Stanislavskij era molto sicuro di ciò che professava. Egli continuava a mettersi in dubbio con un’onestà intellettuale che vai-a-trovarla-oggi. Come dovrebbe fare un buon pedagogo, era alla ricerca e ha continuato a cercare fino alla morte. Sul letto di morte si dice non fosse più tanto convinto di quello che aveva formulato fin lì. La nostra bravura sta nel prendere le sue parole evitando di trasformarle in dogmi.

Nelle scienze dell’educazione non ci sogneremmo mai di dogmatizzare il pensiero pedagogico e sono convinto che sia una questione quantitativa: ci sono troppi pedagogisti e filosofi che hanno fatto pedagogia per permetterci di prenderne uno e gridare: VERITÀ. In teatro manca ancora questo numero e i pedagoghi teatrali contemporanei faticano ad affermarsi come tali [2].

Stanislavskij non elaborò un vero e proprio metodo, anche se divenne celebre con questa definizione. Fu più che altro il primo a tentare di strutturare il lavoro dell’attore con un’architettura teorica. Prima di lui, non si parlava di un “modo per insegnare a recitare”. I Commediante dell’Arte, per esempio, avevano come prassi che un novizio dovesse seguire la compagnia per 7 anni recitando piccolissime parti, collezionando suoi piccoli lazzi e intanto specializzarsi in un carattere. L’attore imparava attraverso l’esperienza e l’osservazione di altri attori all’opera.

Secondo Stanislavskij l’attore deve rivivere sulla scena quello che prova il suo personaggio, articolando il suo lavoro in:

  • prima di tutto è necessaria la conoscenza della psicologia del personaggio e delle circostanze in cui opera, 
  • poi bisognerà attivare la reviviscenza di stati emotivi recuperati nel bagaglio personale per avvicinarsi al vissuto del personaggio e infine
  • con la personificazione travasare le proprie emozioni nel personaggio e in quello che sta facendo.

Questo Sistema è in sintesi quello che poi Strasberg userà a piene mani: il metodo della memoria emotiva. La linea delle azioni (la sequenza di azioni che lega causa ed effetto, finalità e motivi, azioni e reazioni) doveva essere decisa prima delle prove in un’analisi a tavolino della messa in scena [3]. Nella prima fase del suo pensiero, Stanislavskij cercava di prevedere tutto quello che i personaggi avrebbero fatto durante la pièce. Dal tuo pensiero, vedremo, sono stati tratte molte tecniche e diversi metodi di recitazione o per vicinanza o per lontananza dal suo pensiero.

Lee Strasberg

Strasberg prende a piene mani dalla teoria di Stanislavskij[4], porta tutto in America e fonda la sua scuola: l’Actor’s Studio[5].

Sviluppa tecniche per applicare in modo preciso ciò che il suo Maestro aveva indicato per risultare credibile: l’attore non deve imitare le emozioni e le sensazioni del personaggio, ma riviverle pescandole dalla propria memoria personale. Gli strumenti prediletti sono la memoria sensoriale e la memoria emotiva. La prima consiste nel recuperare quello che hanno provato i nostri cinque sensi in situazioni passate tramite percorsi psico-fisici etero e auto-condotti; la seconda invece porta a rivivere i ricordi che suscitano in noi le emozioni necessarie al lavoro su quello specifico personaggio o quella precisa situazione scenica.

In un certo senso, il metodo Strasberg è una versione più psicoanalitica del metodo Stanislavskij. Ci sono stati parecchi attori che hanno scelto questo metodo passando i limiti del buon senso, ma anche molti attori che grazie a questo hanno regalato interpretazioni indimenticabili.

Stella Adler

Stella Adler, che non condivideva l’eccessiva focalizzazione sul concetto di memoria dell’Actor’s Studio, propose un’altra via.

Prima di tutto c’è da palesare la sua connessione con Lee Strasberg, con cui fonda il Group Theatre nel 1934. I due assieme ad altri artisti si recarono a Mosca per studiare personalmente con Stanislavskij.

Dunque la Adler non condivideva l’approccio ‘psicanalitico’ di Strasberg, perché secondo lei era troppo focalizzato sulla memoria, che spesso portava alla luce ricordi dolorosi.

Decise quindi di costruire il suo metodo sembra basandosi su Stanislavskij, ma rafforzandolo con un maggiore richiamo emotivo che andasse “oltre le proprie preziose esperienze interiori” e facendo uso della propria immaginazione. Un metodo probabilmente molto utile per tipologie di ruoli meno usuali e soprattutto una valida alternativa a quello dell’Actor’s Studio. La tecnica si concentra sul ruolo dell’immaginazione e sulla ricerca di significati non esplicitamente espressi nel copione che possono giocare un ruolo importante per lo sviluppo del personaggio.

Sanford Meisner

Incredibile coincidenza… anche Meisner era tra i co-fondatori del Group Theatre e anche lui dopo alcuni anni iniziò ad essere scettico riguardo all’impostazione del “metodo” utilizzato da Strasberg. Quindi anche lui ha prodotto una variante della tecnica.

Meisner chiede all’attore di “vivere in modo veritiero in determinate circostanze immaginarie” e avere come premessa grande apertura, onestà e ascolto dei colleghi sulla scena. Di questo metodo è rimasto famoso il tipico esercizio di ripetizione.

Con la richiesta di vivere realmente in circostanze immaginarie prendono molta importanza le emozioni istintive. All’attore viene chiesto di “vivere nel momento” mentre stanno sul palcoscenico. L’insegnamento di questa tecnica si basa su esercizi di improvvisazione dove l’ascolto è premessa e obiettivo del percorso.

Michael Cechov

Vi prometto che è l’ultimo artista connesso in modo diretto a Stanislavskij. Il mio intento è piuttosto di farvi capire quanto il maestro russo abbia avuto ripercussioni importanti.

Cechov fu un allievo di Stanislavskij, ma non si tratta del drammaturgo russo che tutti conoscete, bensì del nipote!

Qualche aneddoto potrà aiutarci. Michael entrò a far parte del Teatro d’Arte di Mosca di Stanislavskij nel 1912 e sembra sia stato uno dei suoi studenti più validi e tra i più rimproverati. Si racconta che in una lezione, Michael avesse da interpretare la scena di un figlio che si disperava per la morte del genitore. Recitò la parte in maniera impeccabile e molto credibile e il maestro Stanislavskij gli chiese a cosa avesse pensato per vivere così bene la parte e entrare così tanto nel ruolo. La risposta di Michael lo fece infuriare: pensò a quando gli era morto il cane.

Possiamo quindi dire che anche lui ha elaborato gli insegnamenti a partire dallo stretto rapporto col Maestro, ma prendendo una strada che si allontana dal realismo. È opinione di Cechov che, se parliamo di attori allora parliamo di artisti. Un artista non può limitarsi a “fotografare” la realtà e a riproporla paro-paro. Dovrà invece interpretarla, esprimerla attraverso la sua lente anche in maniera incisiva. Le tecniche psico-fisiche che sviluppò per formare l’attore in tal senso puntano sul rapporto tra la mente e il corpo. In questo modo le sensazioni e le emozioni necessarie per interpretare il personaggio vengono messe in risalto rispetto al dettaglio del gesto.

La tecnica di William H. Macy e David Mamet

L’hanno chiamata Practical Aesthetics (estetica pratica) ed è un metodo sviluppato dall’attore William H. Macy insieme al drammaturgo David Mamet. Diciamo, per semplificare, che l’obiettivo è la corretta comprensione letterale degli eventi scenici. Una ricerca sull’azione che vuole la scrupolosa analisi della sceneggiatura da parte dell’attore.

Ci si basa sulla centralità di un’azione e si spinge l’attore ad analizzare la scena per focalizzarsi su ciò che accade, come agiscono i personaggi e che cosa desiderano. Vengono sintetizzate undici azioni fondamentali che è sempre possibile riconoscere e in una data scena. Potete riconoscerne almeno una e prenderla come riferimento per il lavoro di ricerca da sviluppare.

Uta Hagen

Le tecniche e i metodi di recitazione di Uta Hagen vogliono creare il massimo realismo tramite una full immersion per l’attore che è chiamato alla sostituzione e al trasferimento dei propri ricordi con quelli dei personaggi. Certo è che per affrontare questo metodo l’attore dovrà conoscere a fondo se stesso prima ancora di conoscere il personaggio. Per far questo ci sono una serie di esercizi proprio per approfondire la conoscenza del personaggio, dell’ambiente in cui si recita e delle tecniche di improvvisazione.

Visto che si mira all’estremo realismo della performance, conosciuto se stesso e conosciuto il personaggio, l’attore affronterà un percorso che gli permette di trasferire le sue esperienze passate ed emozioni nelle circostanze data dalla scena. Va da sé che si costruirà delle profonde connessioni con i personaggi perché legati mediante verità personali e intime.

Viola Spolin

Viola Spolin ha sicuramente avuto anche il merito di rendersi popolare, ma anche ciò su cui si fonda la sua tecnica ha aiutato sul piano del marketing: l’improvvisazione.

Come si propone spesso il fascino dell’improvvisare, le tecniche e i metodi di recitazione della Spolin si basano su molti giochi ed esercizi che rendono gli attori capaci di “vivere il momento”, auto-direzionarsi e improvvisare dialoghi e azioni. I “giochi teatrali” della Spolin trasformano anche le più complicate tecniche e i codici scenici attività giocose, rendendo quindi più accessibile l’apprendimento.

Bertold Brecht

Ho voluto lasciare questo Maestro per ultimo solo per chiudere il cerchio, visto che abbiamo iniziato con Stanislavskij. Molti possono pensare che i due diversi approcci siano antitetici, ma sarebbe un giudizio superficiale. Ci sono molti testi su cui approfondire ma tra tutti vi consiglio spassionatamente quello di Carlos Alsina “da Stanislavskij a Brecht: le azioni fisiche“.

Inoltre rileggendo l’intero articolo vedrete come diversi approcci abbiano declinato questi due Maestri in diverse modalità mischiandole fra loro.

Brecht era per un teatro politico necessario a “combattere la menzogna, l’ignoranza e a scrivere la realtà”. Se il Teatro aveva questo fine, la recitazione non poteva essere da meno e di conseguenza l’attore non interpretava il personaggio facendo rivivere le sue emozioni, ma era come se lo “accompagnasse” in scena. Questo accompagnamento doveva avvenire mantenendo una distanza dal personaggio per evitare accuratamente che lo spettatore si identificasse con esso e che quindi fosse coinvolto emotivamente. Il coinvolgimento infatti non permetterebbe allo spettatore di avere un atteggiamento critico e analitico rispetto ai fatti rappresentati. Queste particolari tecniche e metodi di recitazione sono conosciute con il nome di straniamento e sarebbe interpretabile come una semplice visione ideologica – forse arbitraria e bizzarra – del suo autore se non la collocassimo nel suo contesto storico-politico. Brecht aveva visto la Germania soccombere ai voleri di Hitler e del nazismo e secondo il regista tedesco questo fatto era la conseguenza di un’ondata emotiva che non ha permesso di giudicare criticamente gli avvenimenti. Un pensiero critico avrebbe evitato alla Germania di scriversi da sola una tra le pagine più oscure della sua storia.

Il tentativo di Brecht era tutto politico ed educativo: creare un pubblico critico, distaccato e riflessivo, che avesse gli anticorpi necessari a combattere il prodotto dell’emotività collettiva di quegli anni.


[1] nella prima età del ‘900 se non ballavi il tiptap non potevi dirti attore. Questione di moda.

[2] Ovviamente il mio è un punto di vista e una semplificazione necessaria per l’insufficienza di spazio per poterne parlare. Per comprendere anche il contesto in cui Stanislavskij ha prodotto il suo pensiero e l’evoluzione di questo, suggerisco di rifarsi a fonti più autorevoli. Per citarne alcuni tra quelli che mi sono piaciuti di più:
Il lavoro dell’attore su se stesso, Konstantin S. Stanislavskij, Laterza
Il lavoro dell’attore sul personaggio, Konstantin S. Stanislavskij, Laterza
Stanislavskij alle prove. Gli ultimi anni: il metodo delle azioni fisiche, Vasilij Osipovich Toporkov, Cue Press
La recitazione, Sanford Meisner, DinoAudino
Il metodo delle azioni fisiche. Teoria e pratica di un approccio alla recitazione che parte dall’ultimo Stanislavskij, Carlos Alsina, Ed. Dino Audino

Samuel Maverick Zucchiati
Formatore, educatore e consulente
Insegnante di teatro presso le Officine Teatrali

[3] Detta in soldoni: tutti attorno a un tavolo a parlare e fare riflessioni sull’opera

[4] Richard Boleslavskij e Maria Uspenskaja, ex allievi del maestro russo, aprirono un laboratorio teatrale a New York e Strasberg rimase folgorato da questo rivoluzionario metodo attoriale e decise di attuarne una versione americana.

[5] Fondato nel 1947 da Elia Kazan e diretto da Lee Strasberg dal 1951 fino alla sua morte, l’Actor’s Studio fu la scuola che formò gran parte degli attori americani che negli anni 50 entrarono a far parte del firmamento hollywoodiano. Non sarà difficile trovare una lista di questo attori googlando la scuola.

TECNICHE E METODI DI RECITAZIONE

2 commenti su “TECNICHE E METODI DI RECITAZIONE

  1. Questo articolo, benché molto tecnico e ricco di informazioni e di documentazione, personalmente mi ha emozionata molto perché mi ha ricordato tutte le persone, i formatori e le formatrici che, in diverse scuole e seminari, prima di iniziare il lavoro introducevano il metodo, le tecniche, contestualizzavano e suscitavano curiosità ed entusiasmo intorno ad esse.
    In ordine di tempo il metodo più recente l’ho incontrato alle Officine Teatrali con Giulia e Samuel lo scorso anno cioè “Le azioni fisiche” che ritengo molto valido per la sua praticità, chiarezza e applicabilità diretta.
    Ho incontrato diversi metodi e tecniche negli anni e di tutti potrei dire che hanno lasciato traccia in me; condivido pienamente il consiglio di mischiare le varie tecniche e produrre una sintesi personale, che ci possa caratterizzare, sempre rimanendo in ricerca e in formazione per affinare e conoscere sempre più noi stessi.
    Le tecniche e la ricerca teatrale, sappiamo, sono un’opportunità unica di sondare e conoscere noi stessi: un’opportunità di divertimento e di consapevolezza, un fare che è rendere palese, far emergere e insieme condividere, crescere come singolo e come individuo in relazione.
    Penso che questi aspetti siano comuni a tutte le tecniche teatrali, benché ciascuna dia un taglio particolare un’enfasi più spiccata ad alcuni rispetto ad altri.
    La prima volta che incontrai il metodo Strasberg, con Sara Corso allieva di Waltzer, mi trovai quasi spaventata dall’impatto forte, diretto, quasi dirompente che provocava, in tutti non solo in me, tanto che qualcuno lasciò il seminario prima della conclusione. All’analisi “a tavolino” del testo seguiva un training attoriale rigoroso, volto alla creazione di un “Golden Box” di memoria emotiva legata a aneddoti personali e IMPRONUNCIABILI: la verbalizzazione razionalizza il vissuto, mentre la memoria emotiva abita in uno strato diverso e più immediato nella comunicazione, forse ancestrale, sicuramente condivisibile.
    In seguito tramite Claudia Negrin mi proposero il metodo Adler, in piena pandemia, quindi on line! Tutto un lavoro sull’immaginazione, che crea intorno, dentro e con il personaggio riferimenti al suo agire. Molto interessante e liberatorio.
    Bellissimo il metodo Meisner che ho incontrato tramite Greta Zamparini (in forza a Fabbrica dell’Esperienza con Irina Casali) anch’esso con un training fisico simile a Strasberg e che in un certo senso ricalca, ma con un aspetto di ASCOLTO profondo dell’altro, quindi connessi con sé stessi e con l’altro: un ascolto che è dono, un protendersi, un difendere, un avere il coraggio di chiedere e di ricevere.
    La ricerca di superare le proprie attitudini, di parlare attraverso un “Corpo poetico” codificando i movimenti in un “battere e levare”, il un “tendere (tirare) e lasciare”, anche con la voce o le pause mi ha fatto incontrare Lecoq attraverso Vanessa Korn e un sogno che la pandemia ha distrutto, come è avvenuto per molti di noi.
    Poi ciascuno nel cercare un proprio stile forse sintetizza le diverse tecniche, fa i conti con le proprie caratteristiche, i limiti fisici, le predisposizioni: sempre nella ricerca di quella verità scenica, di quel “nodo drammatico” che permette ogni volta quell’esperienza unica tra attore, personaggio e pubblico che il teatro sa fare.
    Molto interessante il punto di osservazione di Brecht, che in verità ahimè conosco poco, circa la finalità educativa e distaccata di guardare il teatro, al fine di sviluppare la capacità critica, lo straniamento, il non coinvolgersi (benché in realtà lo si è profondamente) emotivamente per mantenere la razionalità, la lucidità informata che è la base per una solida coscienza sociale e civile.
    Il teatro è PER SUA NAURA educativo, formativo, sociale e politico (per la polis) a prescindere da qualsivoglia tecnica o metodo.
    Laura Viganò
    socia e in formazione
    presso le Officine Teatrali

  2. Ciao,io uso da tempo il metodo paul boss.
    e’ il sistema piu’ aggressivo perche’ richiede di ” farti male ” per sentire qualcosa e metterlo in scena.
    un taglietto,una pressione sul corpo,bere alcolici e fare magari 10 minuti di corsa prima di recitare una parte.
    Non lo consiglio ma con me ha funzionato..

    p.s
    niente di pericoloso sia chiaro!

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